Eckehard Fuchs / pondus 100 copie / Essere è essere incastrati... a cura di Massimo Kaufmann











(italiano)
Essere è essere incastrati…
E.M.Cioran , Squartamento (1970)

Alcune delle figure che ricorrono in numerose opere di Eckehard Fuchs – molto spesso legate, costrette in una postura assurda e innaturale, che le trasforma quasi in marionette, imprigionate dalle bende e dalle funi senza un motivo plausibile - , mi hanno richiamato alla memoria queste poche, sferzanti parole diuno scrittore e filosofo che ha fatto del più assoluto, cinico pessimismo la sua cifra morale oltre che estetica.

Una cifra incapace di scorgere qualsiasi speranza, che ha gettato ogni maschera, ideologia e poetica in un abisso senza fondo.
Anime tormentate, dannate e reiette vagano nei gironi dell’Inferno senza pace, senza redenzione; sono i personaggi di storie prive di una trama apparente, che incontrano i miti delle favole nere, della tradizione più arcaica del nostro Medioevo europeo, cristiano e pagano, germanico e romanico.

Nell’opera che presentiamo in questa collana abbiamo voluto soffermarci soprattutto sulla più recente produzione artistica e in particolar modo sulle xilografie, le incisioni su tavolette di legno, realizzate negli ultimi due anni.
Eckehard Fuchs è un artista estremamente prolifico e generoso, il suo lavoro è una fonte esuberante, che quando prende avvio sgorga inesauribile e procede impetuosa come un’inondazione. La sua produzione di xilografie negli ultimi anni è stata un’esperienza che ha attraversato e ricomposto le regole di questa
antichissima tecnica in maniera sorprendente.

Non credo di esagerare sostenendo che è riuscito in un’ impresa quasi impossibile: restituire una nuova linfa alla tradizione con una serie di innovazioni e sperimentazioni piuttosto ardite e complesse. La quantità di colori e variazioni di cui ciascuna immagine è stata oggetto è ammirevole.
In questa piccola pubblicazione non possiamo che rendere omaggio in maniera molto limitata dell’ampio lavoro che è stato realizzato.

Nelle immagini di Fuchs compaiono appunto figure umane estremamente grottesche, sofferenti e silenziose, anime inzuppate di dolore, imbevute nel delirio dell’esistenza, fradicie di passione ma sottomesse a un destino infame.

La meccanica dei corpi dilaniati e coatti, le forti linee diagonali della struttura compositiva, che sembrano rievocare alcune celebri composizioni di Max Beckmann, costringe quel che rimane di questi esseri, in una postura oscena, nella tensione dello strazio, in un lamento sordo e ostinato.

Non si può comprendere che cosa stiano facendo, o se stiano facendo realmente qualcosa; che cosa li abbia condotti fino a questo punto estremo.
Queste povere esistenze sembrano indaffarate nella più completa inutilità, estenuate nel Nulla.
Sembrano attori di un dramma di cui hanno completamente smarrito il senso, lo scopo, la ragione. Al tempo stesso ci appaiono come acrobati, contorsionisti avviluppati nell’ossessivo lavorìo dell’esistenza, costretti in camicie di forza per malati di mente pericolosi, indossate senza stupore, come un habitus.

Paiono vittime dei loro stessi gesti, dell’abitudine quotidiana, di uno scempio perpetuo, sedimentato nel tempo e incessantemente protratto in una normalità impiccata all’eternità. L’esistenza stessa come patologia del quotidiano, l’Alienazione completa.

Eppure le figure oniriche, favolose, mitologiche della storia dell’arte cercano un
riscatto nel grottesco, nel ridicolo. Come nella grande tradizione, soprattutto germanica e fiamminga, l’opera si consacra anche attraverso l’ironia, a quel ruolo che le è proprio nella società medievale, alla funzione di mementum, ammonimento e rievocazione; e tuttavia senza nulla da insegnare, senza alcuna funzione pedagogica.

L’Arte non si limita a illustrare il mondo, nei suoi desideri e nei suoi peccati, nello spettacolo della bellezza o nella paura dell’orrore, ma accompagna, come una guida, l’essere umano, al Paradiso o all’Inferno, attraverso le porte dell’al di là.

La componenete comica, o patetica, delle scene vibra di colori emozionanti e di gesti espressivi; l’arte di Fuchs sembra non lasciare alcuna speranza che non sia l’Arte stessa, nei piccoli varchi che lascia aperti all’irrompere del Sublime; l’arte non può rinunciare a essere se stessa, un puro piacere, un bisogno erotico dell’artista.

L’Alienazione del Mondo è ciò che si esibisce attraverso il dolore degli uomini, che mostra l’essere umano dinanzi al suo fallimento, alla maschera oscena della sua pena.

Lo spazio che Fuchs concede alla Realtà è pochissimo, ristretto a vaghi e criptici accenni: un vessillo tedesco, le ferite della storia, i simboli dell’annientamento; mai nessuna compassione, nessun sentimentalismo, anzi, protagonista è la lotta tra i colori, la durezza dei colori puri che gridano, rilasciando spasmi e distonie.

La Realtà sembra incombere in modo assordante, ma rimane all’esterno, fuori dalla scena, mentre l’artista attinge al patrimonio secolare di streghe, minotauri, argonauti, folletti, spiriti della foresta, in un campionario di ‘capricci ‘ che rimandano a Bosch e a Goya, e a quelle immense ‘macchine’ d’ arte che furono le cattedrali sparse per tutta Europa.

L’arte di incidere il legno, e di imprimere l’inchiostratura a sua volta su tavolette di legno, come se la matrice imprigionasse se stessa nel disegno, allude forse anche alla funzione storica che ha avuto la xilografia, nel diffondere soprattutto a livello popolare le immagini attraverso lo strumento che prelude all’invenzione della stampa.

Le direttrici di forza del suo segno, le linee diagonali che si incrociano lacerando la superficie delle tavolette, si offrono alla resistenza delle fibre del legno, riuscendo a produrre un senso e uno sforzo espressivo; la materia partecipa quindi all’immagine rilasciando la sua arrendevolezza e la sua resilienza, che divengono motivi poetici.

Un tale sforzo, una tale renitenza, è mitigata dalla capacità dell’artista di ammansire con il cinismo l’orrore, con l’ironia la dannazione; Eckehard Fuchs ci propone dunque uno sguardo oggi estremamente singolare, ai margini della storia, di esseri senzienti , stritolati dai lacci dell’Alienazione, morti viventi, fantasmi che provengono da una cronaca dell’oltretomba.

Vittime di se stessi, gli esseri umani sopravvivono a stento come maschere, feticci, e spiriti inquieti, come dementi e come dannati, per sempre ‘incastrati’.
Massimo Kaufmann





(deutsch) 


„Sein heisst in der Klemme sein ...“
E.M.Cioran, Gevierteilt (1970)


Einige der Figuren, die zahlreich in den Werken von Eckehard Fuchs vorkommen – sehr oft gefesselt, in eine absurde und unnatürliche Haltung gezwungen, in Marionetten verwandelt, durch Stricke und Bandagen gefangen ohne plausiblen Grund – haben mich an diese knappen, heftigen Worte eines Schriftstellers und Philosophen erinnert, der den absolutesten zynischen Pessimismus zu seiner moralischen wie auch ästhetischen Ziffer gemacht hat.

Eine Haltung die, unfähig irgendeine Hoffnung zu erblicken, jede Maske, Ideologie und Poetik in einen Abgrund ohne Boden geworfen hat.
Gequälte, verdammte und ausgestossene Seelen wandeln friedlos und unerlöst in den Runden der Hölle umher; es sind die Figuren privater Geschichten, ohne sichtbare Handlung, die den Mythen der schwarzen Märchen begegnen, der archaischsten Tradition unseres europäischen, christlichen und heidnischen, germanischen und romanischen Mittelalters.

In dem Werk, das wir in dieser Reihe vorstellen, wollen wir uns vor allem auf die neueste künstlerische Produktion konzentrieren, und besonders auf die Holzschnitte, die in den letzten 2 Jahren entstanden
sind.
Eckehard Fuchs ist ein extrem produktiver und grosszügiger Künstler, seine Arbeit ist eine üppige Quelle, die, wenn sie begonnen hat, unendlich strömt und so ungestüm fortschreitet wie eine Flut.
Seine Holzschnittproduktion der letzten Jahre war eine Erfahrung, die die Regeln dieser uralten Technik auf überraschende Weise durchdrungen und wieder zusammengefügt hat.

Ich glaube nicht zu übertreiben mit der Behauptung, dass ihm ein fast unmögliches Unterfangen gelungen ist: dieser Tradition wieder Lymphe zu geben, mit einer Reihe von recht gewagten und komplexen Neuerungen und Experimenten. Die Menge an Farben und Variationen in jedem Bild ist bewundernswert.
In dieser kleinen Publikation können wir nur auf sehr begrenzte Art und Weise die umfassende Arbeit, die geleistet wurde, würdigen.

In den Bildern von Fuchs tauchen extrem groteske Figuren auf, leidend und lautlos, in Schmerz getränkte Seelen, eingetaucht im Delirium der Existenz, von Leidenschaft durchnässt und doch einem gemeinen Schicksal unterworfen.
Die Mechanik der zerrissenen und gezwungenen Körper, die starken Diagonalen der Kompositions-struktur, die an einige berühmte Kompositionen Max Beckmanns erinnern, zwingen das, was von diesen Wesen übrig ist, in obszöne Haltungen, in die Anspannung der Qual, in eine dumpfe und beharrliche Klage.

Man versteht nicht, was sie tun, oder ob sie tatsächlich etwas tun; was sie an diesen extremen Punkt gebracht hat. Diese armen Geschöpfe scheinen in kompletter Nutzlosigkeit beschäftigt, erschöpft im Nichts. Sie wirken wie Akteure eines Dramas, dessen Sinn, Ziel und Zweck sie völlig verloren haben. Zugleich erscheinen sie uns als Akrobaten, Schlangenmenschen in der andauernden Tätigkeit des Existierens, gekleidet in die Zwangsjacken gefährlicher Irrer, ohne Befremden, wie ein Habitus.

Sie scheinen Opfer ihrer eigenen Gesten, der täglichen Gewohnheit, einer ewigen Pein, durch die Zeit verfestigt und hinausgezogen in einer verewigten Normalität. Die Existenz selbst als Pathologie des Alltäglichen, die komplette Entfremdung.

Und doch suchen die Figuren der Träume, der Märchen und Mythen der Kunstgeschichte ihre Erlösung im Grotesken, Lächerlichen. Wie in der grossen, vor allem germanischen und flämischen Tradition, verschreibt sich das Werk auch durch Ironie jener Rolle, die ihm eigen ist im Mittelalter, in der Funktion als Mementum, Ermahnung und Erinnerung; jedoch ohne etwas zu lehren, ohne jede pädagogische Funktion.

Die Kunst ist nicht darauf beschränkt, die Welt abzubilden, in ihren Wünschen und ihren Sünden, im Spektakel der Schönheit oder in der Angst vor dem Horror, vielmehr begleitet sie das menschliche
Wesen wie ein Führer zum Paradies oder zur Hölle, durch die Pforten des Jenseits.

Die komische oder pathetische Komponente der Szenen vibriert in spannenden Farben und expressiven Gesten; die Kunst von Fuchs scheint keine Hoffnung zuzulassen ausser der Kunst selbst, in den kleinen Öffnungen, die er dem Eindringen des Sublimen bereit hält; die Kunst kann nicht darauf verzichten, sie selbst zu sein, ein reines Vergnügen, ein erotisches Bedürfnis des Künstlers.

Die Entfremdung der Welt ist das, was sich hier durch den Schmerz der Menschen darstellt, was das menschliche Wesen im Angesicht seines Versagens zeigt, vor der obszönen Maske seines Leids.

Der Raum, den Fuchs der Realität zuweist, ist sehr gering, auf vage und kryptische Andeutungen beschränkt: ein deutsches Banner, die Wunden der Geschichte, die Symbole der Vernichtung; niemals Mitleid, keine Sentimentalität, im Gegenteil, Protagonist ist der Wettstreit der Farben, die Härte der reinen Farben, die schreien und Spasmen und Dystonien erzeugen.

Die Realität scheint auf ohrenbetäubende Weise bevorzustehen, aber sie bleibt draussen, ausserhalb der Szene, während der Künstler auf den Jahrhunderte alten Schatz der Hexen, Minotauren, Argonauten, Kobolde und Waldgeister zurückgreift, eine Mustersammlung von „caprichos“, die auf Bosch und Goya verweisen, und auf jene immensen Kunst-“Maschinen“, die die Kathedralen gewesen sind, verteilt in ganz Europa.

Die Kunst das Holz zu schneiden und die Druckfarbe ihrerseits auf Holztäfelchen zu übertragen, als ob die Matrix sich selbst in die Zeichnung einschliesst, kann als Anspielung auf die historische Bedeutung gelten, die der Holzschnitt vor allem für das Volk hatte bei der Verbreitung von Bildern, mit einem Werkzeug, das die Erfindung des Drucks vorwegnahm.

Die gerichtete Kraft seiner Zeichen, die diagonalen Linien, die sich kreuzen und die Oberfläche der Täfelchen zerteilen, bieten sich dem Widerstand der Holzfasern an, und es gelingt ihnen, einen Sinn und eine expressive Anstrengung zu erzeugen; die Materie ist somit beteiligt am Bild, in dem ihre Nachgiebigkeit und ihre Zähigkeit sichtbar werden und zum poetischen Motiv.

Derlei Mühe, derlei Renitenz sind abgemildert durch die Fähigkeit des Künstlers, mit Zynismus dem Horror zu begegnen und mit Ironie der Verdammung; Eckehard Fuchs bietet uns einen heute sehr einzigartigen Blick an den Rändern der Geschichte an, von empfindsamen Wesen, erdrückt durch die Schlingen der Entfremdung, lebendige Tote, Phantasmen, die einer Chronik des Jenseits entstammen.

Opfer ihrer selbst, überleben die menschlichen Lebewesen mit Mühe, als Masken, Fetische, unruhige Geister, wie dement und verdammt, auf ewig „in der Klemme“.
Massimo Kaufmann
Übersetzung aus dem italienischen / Dagmar Dehio